COSENZA::: Avrà pure pochi slogan (noi però ne abbiamo individuati almeno due) ma le citazioni non gli mancano: Salvatore Perugini ieri al Modernissimo ha scelto tre nomi non da poco (Martini, Mancini, Napolitano) per definire il proprio pantheon, sicuramente meno giovanilistico e meno piacione di quello di Paolini: il 28 marzo al Citrigno siamo stati travolti dal suo video omnibus con il rugby e Berlinguer, i no global e Rita Pisano, Moro e Misasi, Impastato e altro ancora; troppa carne al fuoco secondo alcuni: avere troppi esempi è come non averne nessuno. Ma torniamo a Perugini, da ieri ufficialmente “una persona perbene” (scusateci ma a noi piace scriverlo tuttattaccato). E alla sua triade.
MANCINI::: La lettera “protocollata e dunque da poter rendere pubblica” – ha messo le mani avanti ieri il sindaco uscente, leggendola alla platea – è la risposta a chi (Paolini) tira per la giacchetta l’ex sindaco socialista e se ne arroga la “discendenza” forte di un rapporto privilegiato che proprio quella lettera, hanno interpretato in molti, farebbe vacillare: tra i colleghi del foro di cui Mancini senior scriveva (lamentandone il comportamento) all’allora presidente del Consiglio comunale Salvatore Perugini potrebbe esserci proprio Enzo Paolini. Siamo nel gennaio 2000 e in quei mesi pare si sia iniziato a incrinare il rapporto tra il maestro e il prediletto, a favore della neo-pupilla Eva Catizone (per gli scherzi del destino, oggi Eva ed Enzo sono alleati…). E Occhiuto? Nel gioco della giacchetta parrebbe tagliato fuori, o comunque visto un noto precedente storico dovrebbe evitare di puntare sul mancinismo. Un mesetto fa Pietro Mancini lo scrisse – in maniera criptica – sul Quotidiano della Calabria, mentre Paolini ripete spesso il concetto in maniera più chiara eppure, anche lui, senza fare nomi (Roberto) e cognomi (Occhiuto): il mancinismo è una “tradizione gloriosa patrimonio di tutti, anche di quelli che gli volevano impedire fisicamente di entrare nella sua stanza al Comune quando fu colpito da una falsa accusa”, ha dichiarato la scorsa settimana Paolini. Ed è un chiaro espediente retorico questo di lasciar capire che persino Mario Occhiuto può dirsi manciniano (o meglio “mancinista”) per affermare, in realtà, l’esatto contrario. Per la cronaca: con Roberto Occhiuto in quel 1993 a presidiare la saletta del secondo piano c’era Sergio Aquino, consigliere di sinistra.
MARTINI::: La citazione dell’editoriale del cardinal Martini, al di là della persuasiva categorizzazione moderati / riformisti, è un modo elegante per entrare nel dibattito – ancora meno inedito di quello sul mancinismo – sul ruolo e la posizione della Chiesa ogni volta che si avvicina il voto: né le polemiche finiranno dopo che la Curia ha diramato una nota (venerdì 15 aprile) nella quale affermava in soldoni di non voler entrare nel merito degli aspiranti sindaco a prescindere dai rapporti e dalle collaborazioni “professionali” che qualcuno di loro (Paolini è il legale della Curia e Occhiuto ha un ruolo nel restauro del Duomo) mantiene o ha mantenuto con essa. Doppia excusatio non petita?
NAPOLITANO::: Il riferimento alle parole del capo dello Stato sul bisogno di “umiltà” che i politici devono perseguire è funzionale a Perugini per un semplice motivo: si sa che gli italiani sono tendenzialmente anti-governativi alle urne. I cosentini ancora di più. Perugini esce da 5 anni di cattiva amministrazione (vedi le tante autocritiche di ieri, da quella quasi parossistica di Incarnato “è stata una tragedia” al j’accuse del sindaco a se stesso con promessa di “non ripetere gli errori”) e peggiore comunicazione (da qui nasce l’opuscolo propagandistico concepito da Ambrogio). Si dirà: un amministratore che ha fallito è obbligato all’umiltà, ci mancherebbe pure… Di che deve vantarsi? Vero. Ma quella frase di Napolitano è da “girare” ai due uomini forti in campo: Paolini e Occhiuto, con stile e lessico diversi, hanno impostato la campagna elettorale su una forte personalizzazione; a Perugini una strategia da uomo forte non riuscirebbe tanto: da un lato proprio per lo scarso appeal dovuto a un operato che ha lasciato a desiderare, dall’altro – se un po’ lo conosciamo – per indole e innata “democristianità”. E dove la persona cede, avanza il partito: “Il Pd è qui”, ha tuonato non a caso ieri indicando il logo alle sue spalle. Manco a dirlo, lì è scattato l’applauso più lungo e scrosciante.
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